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La centralità della famiglia nel percorso terapeutico ed educativo

La centralità della famiglia nel percorso terapeutico ed educativo

Oggi incontriamo Michela Gaeta, neuro psicomotricista dell’età evolutiva con lei parleremo della centralità della famiglia nel percorso terapeutico ed educativo di bambini con disturbi del neuro sviluppo.

Dott.ssa Gaeta, può spiegarci quale ruolo assume la famiglia in un percorso terapeutico?

Considerando l’importanza dell’ambiente nel processo di crescita del bambino è indispensabile che l’azione terapeutica/educativa venga estesa all’intero contesto famigliare. L’intervento sulla famiglia ha due obiettivi fondamentali interdipendenti l’uno dall’altro. Il primo è favorire e facilitare il bambino nella relazione con l’ambiente relazionale in diversi contesti. Il secondo è sostenere i genitori nel processo di conoscenza delle specificità dello sviluppo del proprio bambino.

Lo spazio terapeutico, dunque, ha il compito di sostenere i genitori accogliendone ansie, dubbi, difficoltà così da favorire la creazione di un ambiente sereno e facilitante per il bambino in crescita. Per questo motivo, sottolineo sempre la centralità della famiglia nel percorso terapeutico ed educativo per bambini con disturbi del neurosviluppo.

Perché si parla di centralità della famiglia nel percorso terapeutico?

È proprio a partire dal riconoscimento dell’importanza della famiglia che negli ultimi 50 anni, i genitori sono diventati partecipanti attivi nella cura dei loro figli. Per questo motivo, i genitori si sono progressivamente organizzati per diventare protagonisti nel progetto riabilitativo del bambino.

Tale fenomeno è stato quindi teorizzato tramite il concetto di Family Centered Therapy che può essere applicato sia in ambito delle cure ospedaliere per patologie acute sia in quello della riabilitazione e assistenza del paziente in età evolutiva. Nel Family Centered Therapy la famiglia assume una valenza particolare. L’idea fondamentale è “La famiglia non costituisce solamente la principale forma di influenza sulla crescita di un bambino, è anche l’intermediario tra il bambino e il mondo esterno, inclusi i sistemi di cura” (Rosenbaum,1997).

La condivisione di obiettivi e della responsabilità terapeutica e dei risultati risulta un elemento fondante della presa in carico clinico-riabilitativo ed educativa. Ad oggi, la famiglia ed i professionisti collaborano come partner uguali nella definizione del progetto terapeutico (Rosenbaum, 1997).

Numerose evidenze scientifiche testimoniano la validità di questo tipo di approccio. E’ necessario che la prassi terapeutica/educativa venga programmata insieme ai genitori in relazione all’ambiente di vita del bambino. Inoltre, le proposte devono essere inserite all’interno di un contesto di gioco, di autonomia e di attività quotidiane.

Come applichi la teoria del “family centred” nella tua pratica lavorativa?

Il supporto al genitore è fondamentale fin dal momento della presa in carico in terapia neuropsicomotoria. Generalmente, eseguo colloqui periodici per raccogliere dubbi e condividere con il genitore il percorso che si sta svolgendo. La condivisione delle strategie adottate per favorire il potenziamento è di cruciale importanza per la generalizzazione dell’apprendimento in contesti diversi: obiettivo fondante dell’intervento terapeutico.

Tali colloqui, infatti, vengono svolti anche in presenza delle insegnanti in quanto la famiglia e la scuola rappresentano gli ambienti che il bambino vive la maggior parte della sua esistenza.

Un’altra pratica che ritengo valida è quella del “video feedback”, ovvero la visione di filmati del bambino durante i colloqui con i genitori. Questo facilita la presa di coscienza da parte del genitore delle difficoltà e dei miglioramenti. Con questo approccio è necessario calibrare la quantità dei video da visionare e scegliere accuratamente ogni filmato. Non devono essere osservate solo le difficoltà che permangono del bambino, ma vanno messi in luce, con il nostro occhio professionale, i piccoli, ma significativi, cambiamenti.

A seconda del caso clinico, si può ipotizzare il coinvolgimento attivo del genitore nel percorso terapeutico. Il genitore entra in stanza con il bambino e, di conseguenza, si attua la presa in carico della diade con obiettivi specifici per l’unicità del loro legame e rapporto.

Tale approccio è fortemente consigliato in casi di bambini con disturbo dello spettro autistico.

Oltre al coinvolgimento attivo del genitore, con un bambino che ho in terapia, è stato utile il coinvolgimento del fratello in attività condivise e da proporre a casa. In questo particolare caso, la scelta di includere il fratello è legata dalla maggiore attivazione sociale, relazionale e verbale che il paziente manifesta con il fratello più grande. Il fratello, in tal caso, è risultata una risorsa terapeutica importante.

Voglio sottolineare, che il solo nostro supporto non è sufficiente a sostenere il genitore. Ε’ fondamentale affiancare al percorso neuro pscicomotorio un percorso di supporto psicologico con figure professionali adeguate quali psicolog* o neuropsichiatr*.

Il lavoro in equipe è l’essenza della presa in carico del bambino e della sua famiglia.

Chi è Michela Gaeta?

Sono laureata in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Ho elaborato una tesi riguardante la presa in carico del bambino con Sindrome di Down e della famiglia che pone una particolare enfasi sulla relazione mamma-bambino. Lavoro come libera professionista presso uno studio privato.
Mi occupo di educazione psicomotoria con gruppi di bambini dai 2 ai 7 anni di età. Collaboro con le strutture scolastiche per lo svolgimento di progetti di psicomotricità educativa-preventiva e nel sostegno educativo scolastico alla disabilità.

Leggi anche il nostro blog: “Quando si diventa genitori di un bambino con disabilità